Il lavoro che non esiste più, le competenze che esisteranno sempre
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“Ciò che è non storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civiltà” – Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874).
Eravamo appena entrati nel XXI° secolo. Tom Peters centrò il bersaglio, con acuminata chiarezza: re-imagine! Il punto è fare business d’accellenza in un’era travagliata (disruptive). Non c’è bisogno di richiamarsi ai fatti di Parigi, già “sentiti” e “annusati” in qualche modo dall’indice Vix, il misuratore della volatilità di Wall Street (http://www.byoblu.com/post/2015/11/19/terrorismo-le-borse-lo-sanno-5-giorni-prima.aspx), per affermare senza margini di incertezza che la nostra sia un’èra travagliata, turbolenta. Lo scrisse anni fa l’ex Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, in un libro ed è ormai senso comune: tutto è mutato. Ma cosa vuol dire ciò, se pensiamo alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo?
Vuol dire innanzitutto che è mutato il concetto di “lavoro”. Ma anche in altre fasi storiche era mutato, non c’è dubbio, penso al trapasso dall’età medievale alla moderna: e allora, di che si tratta?
Di qualcosa di radicalmente diverso. Si tratta della fine del lavoro come normale e sistematico e universalmente riconosciuto scambio tra forza-lavoro, che usa il tempo per ricavare le risorse per vivere, e denaro. Tra meno di vent’anni, la maggior parte dei lavori che hanno tenuto in piedi l’assetto della nostra società assistita, su vasta scala – PA, ma non solo – non ci saranno più. Le macchine sostituiranno questi lavori, processo irreversibile. Quello che oggi paghiamo per uno stato ridotto come il nostro è completamente fuori da ogni parametro e benchmarking minimamente accettabile. La storia sbaraccherà questo sistema parassitario e presto, piaccia o meno, la realtà mostrerà nuovi scenari. Il primo, dominante, sarà interamente legato al potere del singolo individuo, espresso dalla sua capacità di leggere i segnali provenienti dal sistema in cui si trova a vivere e operare. Il potere di “leggere” bene questa realtà, farà la differenza (http://agisciora.blogspot.it/2015/11/chi-legge-bene-eccelle-in-tutto-1.html?view=snapshot).
A questo si aggiungerà l’altro elemento del potere individuale: avere le competenze necessarie a fare la differenza sul mercato. Perché, ecco il punto, la questione della vita non si giocherà più sul “lavoro”, sull’ “avere un lavoro” o, meglio, “un posto di lavoro”, ma sull’avere quelle competenze, conoscenze applicate e applicabili, da giocare su un mercato sempre più variegato e stratificato. Rispondere a questi nuovi bisogni diventerà il processo che farà la vera differenza. La qualità che determinerà anche la quantità reale del successo dell’imprenditore, consulente o coach, che dir si voglia. Figure quasi intercambiabili, in questo nuovo disegno di strategie e connessioni, perché tutti dovranno essere imprenditori o intra-prenditori. Sarà ammesso anche il capitalismo “plebeo”, quel modo di stare nel mercato che, dal basso, vuole avanzare conquistando nicchie di mercato, a partire dai bisogni elementari della gente, dal cibo all’abbigliamento. Quando i processi reali, concreti, tangibili, cambiano, sottotraccia, vuol dire che un’epoca sta già tirando su la testa e non intende più abbassarla. E questa è una testa che non si può tagliare.