“Il vero coraggio non ce l’ha chi lascia l’Italia”
Share
ma chi continua a rimanerci”: faccia a faccia con Antonio Albanese in terra Londinese
di Alessandro Allocca

“Il vero coraggio non ce l’ha chi lascia l’Italia
Quando si sposta per viaggiare all’estero, Antonio Albanese dall’Italia si porta dietro di tutto: un corposo accento milanese, le sue origini del Sud, mani e braccia che svolazzano in aria (tanto per far capire che il gesticolare è parte integrante del DNA di ogni italiano che rispetti) e soprattutto un bel ritardo. “Eccomi qui, sbarcato ora da Milano; l’aereo è partito oltre l’orario previsto perché c’è uno sciopero generale. La protesta è a Roma, ma sta portando conseguenze da tutte le parti”. Insomma nulla di nuovo sotto al sole.
Antonio Albanese è a Londra per presentare il suo ultimo film tra le nove pellicole tricolore ospitate al London Film Festival, firmato da Gianni Amelio: “L’intrepido”, storia di un uomo alle prese con la crisi economica costretto a reinventarsi ogni mattina per tirare su qualche soldo, alle prese col figlio talento del jazz ma in perenne contrasto col suo io, e con una ragazza, anche lei alla ricerca di un equilibrio che, si vedrà, non lo troverà mai. Il film girato a Milano è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia, ha diviso la critica ed il pubblico forse perché, gli chiedo, è difficile da inquadrare, Gianni Amelio ha detto che per la prima volta si è cimentato in una commedia, ma a mio avviso è più una pellicola drammatica con pennellate di pura poesia.
“Sì, non c’è dubbio, è un dramma. La volontà di girare una commedia nasceva agli inizi. Però poi il soggetto e gli stessi personaggi arrivano ad una esasperazione dei loro ruoli che sfociano proprio nel dramma. C’è comunque un filo sottile che lega tutto, a volte difficile da percepire, come se fosse una drammatica processione, quasi Evangelica, che riguarda la volontà di raccontare il nostro tempo ma in una maniera differente: prendendo spunto dalla realtà dei fatti, quello che è sotto agli occhi di tutti, soprattutto la mancanza di lavoro, ma descritta in una chiave nuova, anche poetica. Da qui il mio personaggio, Antonio, che potrebbe essere un uomo di tutti i giorni, senza lavoro che prova a tirar su qualche soldo. Ma Gianni, questo personaggio, lo tira fino al suo limite, e oltre: ogni giorno un lavoro nuovo, autista del tram, portantino, operatore ecologico, manutentore, pescivendolo. Ogni giorno, ogni santo giorno…”
Il titolo originale è “L’intrepido”, in inglese è stato cambiato in “A lonely hero”, un eroe solitario: il primo mi da’ senso più di un uomo determinato ad andare avanti ma senza essere consapevole dei suoi mezzi. Mentre l’eroe, si sa, è cosciente della sua forza.
Quale dei due ti piace di più?
“L’eroe solitario mi piace. Mi piace molto, anzi quasi lo invidio questo eroe, mi piacerebbe essere come lui, ma è impossibile, improponibile. Ogni uomo sano di cervello arrivati a livelli come il nostro Antonio mollerebbe la presa, lui invece va avanti senza mai piegarsi. Mi sono affezionato a questo personaggio, ma può vivere solo nel mondo della finzione”.
Eppure di eroi in Italia di questo periodo ce ne sono, e anche parecchi. Non trovi?
“Sì ce ne sono, ma sono gli eroi con la grande capacità di arrangiarsi. Ormai è diventata un’attitudine che solo le persone con un grande spirito si possono permettere. Ma, anche loro, prima o poi scoppiano”.
In questi giorni sei a Londra, da mesi ormai si parla come l’UK rappresenti quell’America che è stata per i nostri bisnonni. Articoli su articoli di ragazzi che partono dall’Italia per venire qui a cercare fortuna, di ragazzi “coraggiosi”. Non credi che il vero coraggio sia per chi rimane lì, ogni giorno a combattere con la situazione politica, economica e sociale perennemente in bilico?
“Condivido! Penso anche io che chi ha la possibilità di andare all’estero, intendo Londra, come Berlino o anche il Nord America, e non lo fa, si sta perdendo una grande opportunità. Perché, credo, quello che sta avvendendo avrà presto una sua fine. Adesso è il momento della Grande Onda rappresentata dal flusso migratorio dall’Italia verso l’estero, ma come ogni grande onda, poi c’è la risacca che porta indietro tutto. Nel piccolo sta già avvendendo in Italia: nei decenni passati c’è stato un enorme flusso migratorio dal Sud verso il Nord, che mi riguarda anche dato che sono nato a Lecco da famiglia siciliana, ma ora molte menti del Nord stanno tornando alle loro origini. Ci sono tanti ragazzi nati in Puglia, Calabria, saliti su a Torino, Milano per specializzarsi, ed ora hanno fondato delle loro piccole società nelle città d’origine, che stanno ottenendo anche buoni successi. Questo è ciò che voglio intendere quando parlo di risacca. Nel 1997 avevo portato in scena un monologo dal titolo “Giù al nord”, anticipavo proprio quello che sta accadendo ora, un flusso migratorio al contrario. Tutti vedevano solo l’aspetto comico di questo monologo, nessuno invece il messaggio che stavo lanciando: la volontà di rimpossessarsi dei propri luoghi d’origine. Nessuno, tranne il Wall Street Journal che ci dedicò una pagina intera. Ribadisco, il WSJ…”
Se pensi allora che tutto ciò che sta avvendendo sia una “grande onda” che prima o poi genererà una “risacca di ritorno”, che idea ti sei fatto di Londra che ogni anno conta decine di migliaia di immigrati italiani, o expat come li chiamano qui?
“Londra? Ci sono stato fino ad ora tre volte, l’anno scorso per le Olimpiadi a vedere delle partite di volley, qualche mese dopo a trovare il cugino di mia moglie, ed ora per il London Film Festival. Londra? Per me è un grande ristorante dentro una grande banca. A Londra si mangia di tutto in qualsiasi angolo da qualsiasi parte e qualsiasi cosa uno cerchi da mangiare c’è. E’ incredibile, non pensavo, non immaginavo che ci potessero essere tutti questi ristoranti, fast food piccole e grandi catene. E poi Londra, si sa, ad oggi è una grande potenza economica: ho visto qui più Ferrari e Lamborghini che a Maranello. Un forziere che richiama capitali, grandi famiglie, grandi aziende e grandi affari. Già negli anni ‘70 avevo degli amici che mi dicevano “Vado a Londra a lavare i piatti…”. Sì, mi dicevano proprio così, a “lavare i piatti”, perché da lì si iniziava e poi si andava avanti. Credo che tutto sia ancora così: si viene qui a cercare fortuna, c’è chi è rimasto, e chi è tornato indietro. Per tutti, comunque, Londra è un passaggio in attesa di tornare alle proprie origini, in attesa di riprendersi i propri spazi”.
Ovviamente, considerata la tua carriera e i consensi che hai ottenuto negli ultimi anni, non ci pensi proprio ad emigrare. Ma se non fossi stato quello che sei ora?
“Bella domanda! C’ho pensato parecchie volte, nasco da una famiglia di lavoratori e mi ha sempre affascinato scoprire la manualità delle cose. Da ragazzo mi sono dilettato dietro al tornio, alla fresa, poi ho fatto la Scuola d’arte drammatica e mi sono instradato nella mia attuale carriera. Ma, ogni volta che devo interpretare un ruolo che ha a che fare con un lavoro, mi piace studiarlo bene, proprio lavorativamente parlando. In “”Vesna va veloce” sono un muratore e mi sono studiato come dare la calce al muro per sembrare il più credibile possibile, ma per me non era solo la finzione del personaggio, era proprio il piacere di essere un muratore per un po’. In “L’intrepido”, tra le varie cose che faccio, guido un tram lungo Milano. Bé, sono sincero, quella scena l’avrei continuata per giorni, è stato bellissimo. Senti invece una cosa, basta con quest’intervista che mi hai fatto pure troppe domande, ora faccio io un po’ di domande a te: ma se venissi a Londra a portare in scena un mio spettacolo… ?”
Alessandro Allocca
Twitter @aleallocca